Silenzio. Silenzio totale. Silenzio apparente. Totalmente apparente. Fisso il campo. Ruvido, arido, assetato di attesa. Volgo lo sguardo da un lato. Laggiù il tenue orizzonte è interrotto da plumbee forme. Immobili. Silenziosamente immobili. Apparentemente immobili. Colgo un luccichio. Come una stella della durata di un baleno. E nel suo spegnersi odo un nitrito. Capace di chiudere la quiete e aprire la contesa.
Vedo la farinosa superficie del campo tremare. In qualche angolo creparsi come colta da saetta, così che di saetta prende forma la crepa. Poi ancora un luccichio, ancora un nitrito. E così altri. E altri ancora più sfavillanti e più percettibili. Sento sotto i piedi un brivido, che diviene tremito. Cadenzato, poi ritmato, poi sfrenato. Perfettamente all’unisono con il galoppo. Galoppo che all’unisono intuisco, percepisco, poi sento, infine scorgo. Dai due estremi dell’orizzonte.
Da lati perfettamente opposti e simmetrici vedo sopraggiungere, quasi incollati gli uni agli altri, destrieri, scudi, cavalieri, elmi, briglie, occhi guizzanti, volti celati. Come fossero due fazioni, ma con diciassette anime e finalità distinte. Come masse che si attraggono, calamitate da un punto invisibile nel campo, al centro perfetto del destino. Destrieri, scudi, cavalieri, elmi, briglie, occhi guizzanti, volti celati.
E nel momento in cui raggiungono simultaneamente quel punto chiudo gli occhi. Istintivamente balzo all’indietro. Ma ogni volta, con lo stesso stupore, non odo l’urto. Non avverto l’impatto. Riapro gli occhi. Tutto si è dissolto. Tranne l’orgoglio di chi ha trionfato.
Sono la Storia. E da tempo immemore torno puntualmente qui. A palpitare per la tenzone. Delle nemiche in campo.
(Nell'immagine: Tommaso Andreini, In campo nemiche, tecnica mista su tela)