Era rimasto lì accovacciato. In un angolo della caverna. Dove la curva della roccia sembrava combaciare con quella della sua schiena inarcata.
Dalle sue mani, appoggiate sulle ginocchia come a proteggerle, scendevano lungo la pelle sottili rigagnoli di sudore misto a sangue. Affluenti del fiume della caccia.
Era rimasto lì da quando aveva fatto ritorno alle prime luci dell’alba. Fissava solo i suoi nudi e feriti piedi. Muovendone le punte come a tamburellare la vita sul pietroso suolo. Riavvolgendo nei ricordi l’attesa durata una notte intera, la paura nel sentire il fruscio intorno, la corsa verso la preda, la lotta per la sopravvivenza, l’affanno dopo la conquista. E poi da capo l’attesa, la paura, la corsa, la lotta, l’affanno.
I muscoli si erano rilassati a fatica. Ma la mente continuava a ricordare e mettere in sequenza ogni attimo come fosse una esigenza.
E fu allora che, in maniera quasi animalesca e istintuale, si gettò verso un grande masso liscio appena fuori dalla caverna. E con una piccola pietra appuntita iniziò a riversare quei ricordi. Dannandosi e urlando per i primi tentativi imperfetti. Ma trovando una sorta di quiete quando quelle semplici linee sembravano poter finalmente raffigurare l’attesa, la paura, la corsa, la lotta, l’affanno.
Nell'immagine: Roccia nel Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane - Capo di Ponte (Valle Camonica - BS)