Può sembrare (anzi, in parte lo è oggettivamente) una nota stonata parlare dell’impatto del riacutizzarsi del Covid-19 sul mondo contradaiolo. C’è altro che questo all’orizzonte: si cerca di evitare il nuovo lockdown, ma, a livello nazionale, si raffazzonano prescrizioni a volte sacrosante, a volte meno, a volte per niente. Si sta andando alla chiusura di esercizi e a limitazioni di orari, ben sapendo che tutto ciò avrà inevitabilmente un rebound negativo in termini di occupazione e di PIL. Gli strumenti messi in atto per creare paracadute sono benvenuti (stop alle cartelle esattoriali, estensione del divieto di licenziamento, aiuti per le attività penalizzate, interventi sulla Cassa Integrazione; ma i distretti industriali hanno già perduto 344 miliardi), tuttavia sappiamo bene che non sono la manna dal cielo e che hanno (e avranno) un costo e che presto o tardi si dovrà passare dalla cassa per pagare il conto. Mentre già si intravede che, per impiegare i fondi che ci concede l’Europa, in mezzo al consueto gallinaio di bisticci politici ispirati dal “particulare” (come avrebbe detto Machiavelli), si stanno imboccando strade sbagliatissime che, se non corrette alla svelta, porteranno il Paese al disastro totale e alla sua ghettizzazione in Europa, dove potranno esultare i “frugali” che non volevano dare un centesimo all’Italia perché tanto li avrebbe sputtanati (fonte: inchiesta di Gloria Riva su “L’Espresso” dello scorso 11 ottobre).

In questo quadro, c’è perfino da aver pudore a pensare alle Contrade, ma le misure che, a livello nazionale, si stanno adottando rischiano (non sembri una battuta di cattivo gusto) di far più danni alla nostra società locale di quanti non ne abbia fatti l’ultima guerra mondiale.

La sospensione delle attività paliesche e contradaiole fra il 1940 e il 1944, come si è detto e fin troppe volte ripetuto, al netto della tragedia mondiale e dei lutti che essa disseminò nella società, lasciarono tuttavia in stato di vitalità la Contrada che si trasformò in un’agenzia di sopravvissuta socialità e solidarietà. Ma c’erano alcuni prerequisiti essenziali perché ciò avvenisse, e quei prerequisiti oggi non ci sono più o non hanno più la stessa valenza.

Esisteva la Contrada-quartiere e ciò assicurava alla popolazione che non viveva la guerra al fronte, comunque, possibilità di incontro, di scambio, di manifestazione di affetti, di condivisione di dolori e paure, di aiuto morale e, all’occorrenza, economico. La catastrofe disgrega, ma, anche, rafforza i legami comunitari.

Oggi non è più così: la Contrada-quartiere è più una citazione e un ricordo che una realtà. La Contrada è, ormai, un’entità decostruita che necessita di momenti specifici di riaggregazione rituale per continuare ad avere la sua potenzialità sociale e culturale. L’epidemia, questi momenti, li ha cancellati ed è difficile prevedere quando si potrà pensare ad un ritorno alla situazione precedente, “normale”.

Abbiamo dovuto cancellare i Palii del 2020, ma che si possano svolgere quelli del 2021 è, allo stato attuale, più una speranza che una certezza: tutto fa pensare che dovremo cominciare a mettere in conto di non vedere la terra in Piazza nemmeno il prossimo anno. Si spera che non sia così, ma potrebbe non essere escluso che sia così.

Sarebbe un disastro, ma se ci fosse ancora la Contrada come polo aggregante i danni del disastro potrebbero essere contenuti. E invece è proprio su questo punto che la criticità rischia di acuirsi.

Le recenti norme adottate dal Magistrato delle Contrade prevedono un numero massimo di 200 partecipanti a cene e banchetti. Mentre scriviamo, già due Contrade hanno annullato il banchetto di chiusura dell’anno contradaiolo, e non ci vuole molto per capire che nemmeno la contrada del topo-ragno potrebbe fare qualche cosa di significativo con massimo 200 persone a tavola e con tutte (o quasi) le altre attività precluse per norme di profilassi.

Si aggiunga che le prescrizioni nazionali sulla funzionalità di questo tipo di esercizi non contemplano eccezioni, ovviamente, per le Società di Contrada e che anche per esse i vincoli significherebbero paralisi delle attività, con un rebound negativo sul piano economico e (perfino più grave) su quello aggregativo.

Ecco in che cosa, la presente congiuntura, può risultare peggiore di una tragedia come una guerra; ecco su quale piano le Contrade rischiano davvero di grosso.

Non è facile pensare a strumenti di compensazione di questa situazione, ma non ci vuole molto per capire che, se non si espliciteranno al meglio intelligenza, capacità di governo e fantasia da parte dei gruppi dirigenti di Contrade e Società, si andrà incontro ad un danno immenso, riparare il quale potrebbe non essere così facile né così veloce.

 

(foto di Marco Gambelli)