L’ubicazione di questa “biccherna” è ad oggi sconosciuta. Nel 1930 era da tempo ‘emigrata’ da Siena e  conservata a Vienna  nella collezione Figdor (come attestano il catalogo di quell’anno e altre pubblicazioni coeve), ormai ridotta di forma e di misura per apparire più un quadretto rinascimentale che una tavola dipinta appartenente a una magistratura senese; successivamente se ne sono perse le tracce, pertanto dovrebbe trovarsi in qualche collezione privata. A Siena è conosciuta  soltanto attraverso una foto in bianco e nero, che è stata pubblicata e ben illustrata qualche anno fa (M.A. Ceppari, Tra legislazione annonaria e tecnologia: alla ricerca di una biccherna perduta, in Antica legislazione della Repubblica di Siena, a cura di M. Ascheri, Siena 1993). Il un articolo del 1968 di Bernard  Berenson il dipinto è attribuito a Guidoccio Cozzarelli e datato 1480.  Mancando la parte relativa agli stemmi e all’iscrizione, è però difficile dire con certezza quali siano la magistratura committente e la data di esecuzione.

Nella tavola è rappresentata una piazza di Siena circondata da alti edifici merlati e con finestre a bifora, sullo sfondo una via;  il palazzo posto sulla sinistra porta sulla facciata  due emblemi con la Balzana che ne indicano l’appartenenza al Comune di Siena; sulla pavimentazione della piazza sono state scavate cinque buche, intorno alle quali stanno  un ufficiale, un aiutante, quattro sottoposti e un comune cittadino (la distinzione è fatta sulla base delle attività e degli abiti). La scena è vivace e particolare:  due operai  lavorano con alacrità trasportando ciascuno un sacco di grano, anch’esso marcato con la Balzana, e versandone il contenuto in una buca, mentre l’ufficiale, che dovrebbe essere il camarlengo  – dalle descrizioni dei cataloghi degli anni Trenta risulta elegantemente vestito di rosso – sorveglia l’intera operazione, assistito da un collaboratore, probabilmente lo scrittore/notaio; dietro, più vicino al palazzo,   un terzo operaio, aiutato da un argano, estrae da un’altra buca il cereale precedentemente ammassatovi e lo  versa in un recipiente di legno a doghe (la “tina”) – dopo, si intuisce, procederà a immettere nella stessa buca il  grano dell’ultimo raccolto -,   infine un quarto operaio estrae dalla “tina” il grano vecchio e lo versa  in un sacco vuoto tenuto da quello che sembra un cittadino, ma potrebbe essere anche l’incaricato della distribuzione o della vendita. Sullo sfondo una donna osserva, curiosa, da una finestra. L’identificazione della piazza rappresentata è controversa: piazza del Campo, con il palazzo del Comune contrassegnato  dall’ingresso e dalle finestre “a colonnelli” del primo piano, oppure - come ritengo – piazza Salimbeni,  dove il palazzo di quella famiglia signorile, passato nel 1418 in proprietà del Comune di Siena, era utilizzato anche come granaio.

Se il Comune aveva capienti granai a disposizione - oltre al palazzo Salimbeni anche i magazzini dell’ospedale di Santa Maria della Scala -,  perché  tutte quelle buche nella pavimentazione di quella piazza?      La spiegazione va rintracciata nelle difficoltà di conservare il prezioso cereale in buono stato e per lungo tempo, in modo da averne in caso di carestia: infatti il grano accantonato nei magazzini poteva guastarsi  o essere attaccato dai roditori, divenendo inutilizzabile per uso alimentare, o anche essere rubato dai malintenzionati. Nel 1460 i governanti ritennero, su suggerimento di papa Pio II, il concittadino Enea Silvio Piccolomini, di avere trovato una buona soluzione a questo annoso problema con la realizzazione di “fosse da grano” in tutta la città:  così gli ufficiali della “munitione”, in particolare il camarlengo, furono incaricati del reperimento dei luoghi adatti, dove far scavare le buche in cui accantonare il grano, preservandolo dall’umidità grazie alla paglia che rivestiva la fossa e dai furti grazie alla chiusura con sigillo; era loro compito anche la sorveglianza, con controlli periodici, sullo stato del  cereale, da prelevare a tempo debito dalle buche, quindi distribuire e vendere, nonché sostituire con il raccolto più recente. Da una deliberazione del 1469 risulta che il nuovo metodo aveva permesso di mantenere in buono stato il grano per 8 o 9 anni. Sappiamo dalla documentazione che anche alcuni enti ecclesiastici e  privati avevano adottato questo sistema di conservazione. Il compito di “infossare il grano” fu attribuito dal 1471 all’ufficio della Biccherna e pochi anni dopo al camerlengo “del biado”; successivamente il sistema decadde.  Rimane in Archivio di Stato di Siena il  “repertorio delle fosse” compilato dal 1470 al 1477, dal quale risulta l’ubicazione di ben 124 buche:  nella piazza vicino al palazzo Salimbeni, nel poggio Malavolti,  in piazza San Francesco, nel  “borgo al Laterino”, in piano dei Mantellini, nel “fondaco di San Marco”, a Sant’Agostino nella via verso porta Tufi, a San Vigilio, a San Giusto, a Santo Spirito, presso il  monastero di San Giovanni Battista (oggi Abbadia Nuova), a porta “Sancto Viene”. Difficile dunque che la piazza rappresentata nella “biccherna” sia quella del Campo, dove nessuna buca era stata realizzata.

Concludendo la “biccherna Figdor” costituisce il ‘manifesto propagandistico’ della previdenza dei governanti senesi, i quali avevano saputo trasformare il sottosuolo in un granaio, per evitare che i propri cittadini patissero la fame in momenti di carestia. L’importante personaggio, avvolto in un elegante mantello, posto  sulla scena in primo piano, dovrebbe essere il camarlengo della “monitione” o meglio del “biado” (accettando il 1480 come data del dipinto) e potrebbe avere commissionato la tavola allo scopo di lasciare memoria del lavoro capillare da lui stesso organizzato e diretto in quegli anni, in un’apoteosi del tentativo che riteneva riuscito di sconfiggere le avversità della sorte grazie all’industriosità umana. Il metodo di conservazione, come ho già indicato,  non fu più utilizzato di lì a qualche decennio, forse per la macchinosità dei controlli,  tuttavia anche recentemente durante i lavori eseguiti nella pavimentazione di strade e piazze o nelle vicinanze delle mura,  sono state riscoperte le quattrocentesche “fosse da grano”, spesso scambiate per pozzi di butto o cisterne dell’acqua. Ad esempio, una si trova nella pavimentazione del museo della Contrada della Torre, due all’interno della Porta Pispini.  

 

Nell'immagine: Ubicazione sconosciuta (già Vienna, collezione Figdor), Guidoccio Cozzarelli (attribuita), Le operazioni connesse all’ammasso del grano nelle fosse della città di Siena, 1480 (?)