Ascoltare Lara Androvandi parlare della propria storia è un po’ come affacciarsi all’interno di un quadro e sedersi lì, osservando forme e colori prendere vita e decorare il percorso di un’artista completa, poliedrica, in continua crescita. Alla sua storia fatta di materia e colore, Androvandi aggiungerà presto l’onere e l’onore di realizzare il Masgalano, premio che andrà ad abbracciare la comparsa più meritevole in eleganza, dignità di portamento e coordinazione. Quella di Lara Androvandi, inoltre, si potrebbe definire come una lunga storia d’amore, una di quelle che durano per sempre e viaggiano attraverso le ere della vita incontrando occasioni di trasformazione, mutamento, crescita e riflessione. Originaria di Piombino, trascorre la sua formazione tra la città natale e Carrara, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Fondamentale il suo percorso con il Maestro Arnaldo Pomodoro e “profetico” l’incontro con l’animale che diventerà uno dei protagonisti della sua vita da artista: il cavallo. Un cavallo che Lara studia e osserva con sguardo clinico, che ha imparato a conoscere e al quale rende omaggio nelle sue opere, inserendo anche delle piccole “premonizioni”, come per l’ultima opera da lei realizzata e che ci ha concesso in anteprima. Androvandi realizzerà il Masgalano per il 2024, offerto dal Gruppo Donatori di Sangue delle Contrade.
Lara Androvandi, come inizia la sua storia? Qual è stato il primo approccio con l’arte?
La mia mamma racconta sempre che, da piccola, l’unico modo per tenermi buona era comprare un pacco di matite, così che io mi mettessi al tavolo a disegnare. Credo che la passione ci sia sempre stata. Non ho potuto fare il liceo artistico, ma ho sempre frequentato corsi di disegno. Una volta mamma mi regalò una borsa di pelle simile a quelle che usano i dottori e con quella andai a fare gli esami di ammissione all’Accademia di Belle Arti di Carrara che sta in un palazzo bellissimo: mia nonna era di Carrara e quando andavo da lei e passavo di lì, mi dicevo che un giorno ci sarei entrata. Dopo la Maturità, infatti, è andata proprio così.
Pittura, disegno, ma anche la scultura…
La scultura nasce per caso. Una volta laureata in pittura all’Accademia, non sapevo dove sbattere la testa. Avevo preso il via ad andare in biblioteca a guardare i giornali per gli annunci di lavoro. Un giorno leggo: “Pomodoro cerca allievi”. Arnaldo Pomodoro cercava allievi per una borsa di studio europea. Gente da tutta Europa, quindi, ma ne avrebbero presi solo venti. Mi chiamarono per una prima selezione e dovevo scegliere se ideare una scultura o un gioiello. Presentai un bracciale alla schiava modellato come fosse stato un panneggio, e riuscii a passare la prima selezione. Dopo aver superato anche un colloquio orale, venni ammessa definitivamente. Oltre al Maestro Arnaldo Pomodoro, il direttore tecnico scientifico era il filosofo e critico d’arte Aldo Colonetti. La prima settimana di corso, Pomodoro guardava e valutava i progetti di tutti. Ero contentissima e intenzionata ad avviare un percorso da orafa: poi un giorno il Maestro mi disse che “dovevo” fare scultura. Aveva ragione: “Lei ha il segno da sculture e deve fare scultura – disse – Ha una settimana di tempo per ideare un nuovo progetto”. Per tutta risposta, ho pianto una settimana intera. Da lì è partito il percorso con la scultura. Presi il via con la resina, mi hanno insegnato loro ad utilizzarla: dopo la borsa di studio mi sono iscritta nuovamente in Accademia, per un’ulteriore laurea specialistica, e ho frequentato anche il corso di mosaico. Ho messo poi insieme la resina con lo specchio: ho fuso le mie competenze. Anima in resina rivestita da un prezioso manto in tessere di specchio.
Qual è stato il suo primo contatto con Siena?
Nel 2022, Gaia Tancredi stava organizzando il premio Nadia Toffa ed era in cerca di un artista che facesse da testimonial. Una nostra conoscenza comune le ha parlato di me, così andai alla Lilt e da lì è partito tutto. Fu premiata la giornalista Claudia Aldi, alla quale andò una mia opera. Sempre in quell’occasione, al Santa Maria della Scala tenni una performance live di Ebru Art, una particolare tecnica di pittura sull’acqua di tradizione turca-ottomana. Io sono tra i pochi italiani a praticarla nel completo rispetto dell'antica tradizione: questo vuol dire usare i colori partendo dal pigmento, tritarli e diluirli, il tutto con l’esclusivo utilizzato di agenti naturali. Anche i pennelli hanno la particolarità di essere realizzati con gambo di rosa essiccato e setole fatte con il crine di cavallo. Comunque, la mia storia con Siena è iniziata così. Poi nello stesso anno a giugno c’è stata la mostra Cavalli d’Autore.
Da qui nasce anche un suo personale rapporto con i cavalli…
Mi spiegarono che il tema centrale per questa mostra era appunto il cavallo, ma io non mi ero mai cimentata nel realizzarlo. Avevo studiato la sua anatomia in Accademia, ma non lo avevo mai inserito in nessuna opera. Quell’occasione invece ha dato il via a una serie di opere sui cavalli: prima però ho iniziato ad andare a cavallo, sono andata nei maneggi e nelle scuderie. Avevo guardato delle foto, ma entrando a contatto diretto con gli animali ho iniziato a capire tante cose sulle loro tipologie, il muso, le redini. Ho iniziato a toccarli, ho iniziato ad andare a cavallo e a fare le passeggiate, anche sul mare. Non è stato facile. Per tante settimane non sapevo dove sbattere la testa, perché di cavalli nella storia dell’arte li hanno fatti tutti e non sapevo che fare. Allora ho iniziato a mettere insieme una sperimentazione personale: carta dipinta sull’acqua per usarla come sfondo, creando così una sorta di collage di base, e poi sopra il disegno a gouache e grafite. Ho deciso di prendere però solo un dettaglio, una parte del muso del cavallo, ma a dimensioni esponenziali, possono raggiungere anche un metro e mezzo di altezza. Ciò che mi diverte è inserire qualcosa, un dettaglio magari, che possa essere quasi una premonizione. Dopo aver fatto la prima opera con questa tecnica ho capito che ne ero contenta, quindi sono andata avanti con tranquillità. Mi diverte molto.
Cosa ha capito del Palio? Che percezione ha avuto?
È una realtà dove ti devi calare in punta dei piedi. Voi senesi mi avete aperto la porta, però io devo cercare di rispettare le vostre tradizioni senza essere inopportuna o invadente. Il bello è che siete rivali, ma siete anche amici, e nonostante tutto in certi casi dareste la vita per salvarvi l’uno con l’altro: una dimostrazione è l’associazione che mi ha scelta. Ho un grande rispetto per la vostra tradizione. Mi sono studiata tutto il corteo storico.
Come è nata la scelta del gruppo dei donatori di sangue delle Contrade?
I primi di ottobre uno dei presidenti dei Donatori di Sangue delle Contrade mi chiama e mi chiede di realizzare dei bozzetti per il Masgalano. Inizio a documentarmi, però non sapevo tutte le regole. Ho fatto come per il cavallo, ho iniziato a chiedere, a studiare, a capire. Mi avevano dato venti giorni di tempo per fare il bozzetto! Poi so che ci sono state delle riunioni e delle votazioni. L’8 gennaio sera, infine, mi hanno chiamata per ufficializzare la mia nomina e dal 9 la notizia si è diffusa. Assolvo questo compito con enorme onore. Mi sono dovuta documentare bene e ho anche dovuto scegliere chi mi presenta: sono voluta andare alle mie origini e ho coinvolto Colonetti, il quale mi ha detto che lo farà con enorme piacere. Mi presenterà anche a nome del Maestro Arnaldo Pomodoro, con cui sono rimasta sempre in contatto. Per me essere presentata da lui che parla anche per conto di Pomodoro è un onore enorme. Nella realizzazione pratica del Masgalano, per la parte della lavorazione dei metalli, ho scelto di essere affiancata dal noto orafo Giuliano Morra. Lui è di Bari ma abbiamo studiato insieme, veniamo infatti entrambi dalla scuola di Arnaldo Pomodoro.
Le piacerebbe un giorno dipingere il Palio?
E a chi non piacerebbe. Credo che sia uno dei gradini più alti che un artista possa raggiungere.