Era la metafora che usava per far capire ai bambini il Paradiso: “in Paradiso si sta come quando si vince il Palio”.
Così era Don Salvatore Sacchitella. Salvatore per i più. Uomo schivo, solo apparentemente semplice. Tutto sembrava, se lo incontravi senza conoscerlo, tranne che un sacerdote. Poi, guardando meglio, scorgevi una piccola croce in argento appuntata su qualche “bavero”, a seconda dell’abbigliamento e delle stagioni.
Non aveva avuto una vocazione giovanile. Lui, che era nato il 21 novembre 1937, all’inizio era un impiegato di banca, ma poi deve aver pensato che di impiegati ce n’erano tanti, mentre di persone disposte a mettersi in gioco per gli altri, rispondendo ad una “chiamata” (di quelle che comportano un ribaltamento totale dell’esistenza) ce n’erano molte di meno.
Così, il 10 giugno 1978, a 41 anni, per mano dell’allora Arcivescovo di Siena, Mario Jsmaele Castellano, Salvatore Sacchitella viene ordinato prete. La prima destinazione come parroco è Pari, che lo porta lontano dalla sua Siena ma, soprattutto, lontano dal suo Nicchio.
In seguito gli viene affidata una parrocchia che amerà tanto: San Giusto e San Clemente a Casciano delle Masse (dove spunta una bandiera azzurra con una conchiglia, guarda caso, e che continua a tenere fino alla morte: parrocchia e bandiera). Ma, come se si avverasse quello che era, probabilmente, il suo sogno diviene anche parroco del suo rione, di Santo Spirito (fin quando questa fu chiesa curata) e poi di San Martino.
Dopo l’ordinazione è chiamato ad essere vice-correttore della Nobile Contrada del Nicchio e, quando don Lorenzini si ritira, nel 1992, Salvatore prende il suo posto.
Il fatto è che, nella sua scala di “valori”, subito dopo Dio (e la Madonna alla quale era particolarmente legato: “Con Lei ho imparato tante cose anche se, per la mia poca fede, non ne ho tratto tutto quel bene che avrei potuto” scrive egli stesso) arrivavano il Nicchio e la sua gente. E non sono contraddizioni. Giustamente è stato detto che non esistono amori che non vengono da Dio e a Dio non portano: ogni amore è degno di rispetto. Ci risento Salvatore in queste parole. Lui che quando battezzava un bambino nato da nicchiaioli, alla rituale e canonica richiesta ai genitori di impegnarsi a offrire al figlio un’educazione cristiana e cattolica aggiungeva, sorridendo e un po’ a bassa voce, “e nicchiaiola”. Lui c’era per tutti, e tutti, in questi giorni in cui ricorre l’anniversario della sua scomparsa, hanno un aneddoto su di lui da ricordare ma col sorriso sulle labbra, come avrebbe voluto. Lui, così pronto allo scherzo e alla battuta. Lui che le cose “serie” le faceva in silenzio. Il bene si fa e basta.
Assistente spirituale dell’associazione Unitalsi, ha lasciato anche lì un segno indelebile, nella sua capacità di occuparsi di bisognosi, malati e disabili, nel consentire (e capitene il senso) a tutti di partecipare ai pellegrinaggi, soprattutto a Lourdes, ai quali non mancava mai.
Se n’è andato tre anni fa, col suo fazzoletto azzurro al capezzale del letto, in punta di piedi, come ha sempre vissuto. Ma sono le persone che fanno meno “rumore” a lasciare i vuoti più grandi.
Ora, è stato scritto, il cielo azzurro gli fa da fazzoletto e il suo sorriso rimane per Siena l’eredità più bella, insieme alle parole del suo testamento spirituale: “Amare tutti, amare sempre, pensare bene di tutti, dire bene di tutti, fare del bene a tutti”.