Me lo raccontò una mattina Linda Tancredi in persona, alla soglia dei 91 anni, prima che anche lei se ne andasse per raggiungere i suoi cari e per mettere a dura prova, con le sue battute taglienti, ma ironicamente gentili, chi è con lei lassù. Quando ci parlai fu l’ultima volta ed era sì fiaccata dalla vita, ma sempre vivace, con la sua voce squillante e con il piacere di raccontare la sua storia e quella della mitica edicola dei Pontani.
Dove adesso c'è l'edicola gestita da Mauro Panti, prima del 1955 c'era un punto vendita di giornali e riviste. Una signora piuttosto anziana si metteva lì ogni mattina e, seduta su una seggiola, vendeva qualche copia de La Nazione e di qualche altro giornale. Alla sera, il materiale e, per così dire, l'arredo (costituito da quella seggiola e da qualche cassetta) veniva rimessato nel portone di fronte, dove era già la sede proprio della Nazione.
Nel 1955 il misero esercizio venne rilevato da Amleto Tancredi (meglio conosciuto a Siena come “Fagiolo”, barbaresco degli anni Cinquanta e Sessanta dell’Oca) che costruì la baracchina di legno che vediamo ancora oggi, progettata al tempo da Pariso Muzzi, padre del conosciutissimo Adù Muzzi, tartuchino.
La famiglia ocaiola dei Tancredi ha gestito per anni l'esercizio: dopo la morte di Amleto, fu la volta della sua vedova, Linda Marchetti, da tutti conosciuta come “Lindina” (una donna meravigliosa, dalla battuta pronta e salace da vera fontebrandina) che rappresentò la "punta avanzata" degli edicolanti senesi. Aperta tutti i giorni (festivi inclusi: era stata anche insignita dell’onorificenza di cavaliere del lavoro) e dotata di una memoria prodigiosa, ricordava a menadito le esigenze di ogni cliente, in qualche caso intuendo anche quali potevano essere gli interessi "occasionali" dei singoli per qualche numero particolare di riviste o giornali, nemmeno sempre da essi acquistati.
“Amorosa” (chiamava così quelli a cui voleva bene), mi ricordo di tutti, mi raccontò: da quello che veniva a sfogliare il giornale solo per vedere le notizie ma tanto non comprava niente, a quello che si affacciava con una scusa per commentare quel fatto o quella cosa accaduta a chissà chi (e Linda lo sapeva sempre). Perché lei era davvero una di quelle persone schiette e trasparenti che non temeva di dire quello che pensava (aveva una parola per tutti) e certo non si curava di mascherare se le restavi simpatico oppure no. Nel secondo caso erano guai.
Negli ultimi anni il dolore per la morte del figlio Otello (Linda ci ha lasciato il 28 arile 2017, Otello nel marzo del 2014), così come dover andare via dalla sua “Ochina” per trasferirsi in periferia, un po’ (molto) l’avevano provata, ma lo dava poco a vedere.
Linda fino all’ultimo per me è stata il saluto col “bercio” ogni mattina quando passavo lì davanti ed era il segno (quasi scaramantico) che la giornata sarebbe andata bene. E poi, se pensavi di “transitare” senza fermarti, ci pensava lei a chiamarti con la sua voce forte e roca, e non certo per salutarti a quel punto ma per farti una bella ramanzina.
Mentre scrivo la risento e con questo ricordo abbracciamo Linda che, diciamocelo, ci manca. Mancano a Siena persone così.