Monsignor Duilio Bani. Quanto gli dava noia questo titolo: Monsignore. Lui che non aveva mai avuto la cura di una parrocchia sua ma solamente una vicecura a Santo Stefano alla Lizza. E poi, diciamocelo, quel rosso addosso non se lo poteva vedere.

Scrivere di don Bani (del prete Bani, come da tutti era conosciuto) è stato meno semplice del previsto. Certo, gli aneddoti più famosi si sanno. Quando, dopo la vittoria della Torre, spense tutte le candele all'altare di Santa Caterina con la celebre frase (se vera): "Se si va a letto noi, vai a letto al buio anche te". Oppure di quando festeggiando i suoi 90 anni gli venne augurato di arrivare a 100 e la risposta fu (pare): "Perché? A cento che c'è il cancellino?" E infatti morì a 100 anni compiuti. Leggende? Verità ammantate di leggenda? Come che sia, don Duilio Bani è stato forse l'ultimo protagonista di una Siena popolana in cui la schiettezza dei personaggi diveniva epopea. Sanguigno ocaiolo, focoso contro l’avversaria (non la nemica, perché c’è differenza nei termini), ha rappresentato una città e un modo di vivere la Contrada che non esistono più.

Nasce il 21 Marzo del 1881 in via Santa Caterina e lascerà Fontebranda (con grande dolore) solo negli ultimi anni di vita durante i quali abita in piazza dell’Abbadia. A sei anni, siamo nel 1887, nel famoso Palio di luglio “strascicato” fino al 16 per aspettare i reali, è uno dei due bambini che, domenica 17 luglio, quando Margherita ed Umberto si recano nell’Oca offre i fiori alla regina. Si legge nei giornali dell’epoca: “giunto il corteo vicino alla chiesa due cari cugini Messalina e Duilio Bani, presentarono alle Loro Maestà due mazzi di fiori. La regina visto quell’amore di bambino che graziosamente le porgeva i fiori si chinò, lo sollevò e gli diede un bacio”.

Ama le lettere, odia la matematica, per tutto il suo corso di studi, anche in Seminario, ha ottimi voti nelle materie umanistiche ma nessun voto in aritmetica in quanto “a quella materia non si è presentato con giusta causa”.

Celebra la prima Messa alla Sapienza, il 23 settembre del 1906. La seconda messa la celebra nell’oratorio dell’Oca e nel sonetto d’onore si fa ancora riferimento al “bacio dell’augusta regina” anche perché, tra l’altro, per l’occasione arrivano per lettera i complimenti della Casa Reale.

Abbiamo detto che non ha mai avuto la cura di una parrocchia, ma mai si è rifiutato, se chiamato, di celebrare una funzione: anche nell’Oratorio di Sant’Anna e San Giacomo, nell’avversaria, dove dette vita ad una delle sue migliori performance (tra i chierichetti di allora ci fu chi lo cronometrò: in 12 minuti diceva messa, comprese le litanie finali che oggi non si tengono più. Ma non per questo il mistero eucaristico era meno sentito. L’omelia, non essendo allora obbligatoria, non la faceva mai) e alla fine sembra che abbia detto “In questa chiesa mi ci bruciano i piedi”.

Ma lui era il “prete dell’Oca” e dirigente, dunque parte integrante della Contrada: per 59 anni Cancelliere (il primo verbale che firma è del 4 aprile 1907 e ultimo del marzo del 1966, anche se c’è un vuoto di alcuni anni); Correttore e, poi, Correttore ad honorem (avendo sempre un occhio di riguardo particolare alla cura dei giovani); conservatore dei tesori della Contrada, dal 1941 al 1968 ne è custode, assieme alle nipoti Caterina e Itala.

E se è impossibile riassumere tutto il rapporto tra Don Bani e l’Oca, profondo viscerale, non si può non ricordare che nel 1909 fonda la Società delle Donne della Nobile Contrada dell’Oca insieme a Bettino Marchetti.

Poi l’altro suo amore assoluto: Santa Caterina della quale aveva una visione chiara, quasi laica, non sdolcinata ma forte. La vedeva protettrice della Contrada e della sua Siena. Ne conosceva perfettamente la vita e le opere. Aveva con “Nina”, come la chiamava familiarmente, un legame schietto: “la santa non vuole le pottate”, diceva sempre. Intendendo che non gradiva le eccessive attenzioni o, men che meno, le “ruffianerie” a fini palieschi.

Amava il calcio, la Robur, che seguiva anche in trasferta. Non si levava mai il sigaro di bocca: noti i buchi nelle sue lenzuola, e, in bocca, il sigaro lo tenne fino alla fine.

Così come da tradizionalista qual era, nel clero come nel Palio, lo si vedeva sempre in tonaca, collare e cappellone, contestando ferocemente il clergyman (“i preti devono avere la tonaca non sono uomini normali che portano giacca e pantaloni…”).

Muore il 23 di luglio del 1981, con 21 Palii vinti. L’ultimo, il drappellone del 16 agosto 1977, gli fu portato sotto le finestre e a tutti rispose: “e 21, ne ho visti 21 e non mi voglio fermare qui”. Così, dal cielo, ha continuato a guardare la sua Oca vincere.

(Ringrazio di cuore Senio Sensi che con grande amicizia mi ha fornito le notizie, davvero difficili da trovare, su don Bani che, per quanto conosciuto, ha “lasciato” poche tracce dietro a sé. Ma anche questo, forse, la dice lunga sul personaggio che era e che meriterebbe di essere raccontato ben più diffusamente)