Marco Antonio Zondadari. A molti il nome, così, di “primo acchito”, non dirà molto. Eppure molti, dai primi decenni del Settecento ad oggi, lo hanno “incontrato”, ammirato, gli sono “passati accanto” spesso.

Ma le storie hanno un inizio. Marco Antonio nasce a Siena, nell’aristocratica famiglia Zondadari, il 26 novembre 1658 e sua madre è Agnese Chigi (sì, quei Chigi che hanno dato illustri figure alla Cristianità). Studia a Parma presso i Gesuiti e, poi, a Napoli. E’ destinato a far carriera nell’Ordine di Malta. E così sarà. Non elenco la sua ascesa ma precisiamo subito che l’elezione alla carica di Gran Maestro dell’Ordine, avvenuta il 13 gennaio 1720, equivale all’assunzione di una corona. Malta è uno Stato indipendente e il Gran Maestro ne è il sovrano.

In tutta la Penisola, l’elezione di un italiano a Capo di Stato di un’isola che è uno snodo strategico fondamentale per gli equilibri geopolitici del Mediterraneo nei confronti dei turchi, è celebrata con particolare partecipazione, ma Siena, dove Marco Antonio Zondadari è nato, e a Roma, dove ha vissuto come ambasciatore dell’Ordine e che ospita una nutritissima colonia senese, assume toni di solennità.

Fra quanti si danno da fare per celebrare degnamente l’avvenimento c’è Girolamo Gigli che redige, in quello stesso 1720, una “Lettera” indirizzata a Francesco Piccolomini, nella quale presenta la figura del Gran Maestro senese come insignita di una dignità di dimensione fondamentale per tutta la Cristianità, in quanto capace di difendere i valori occidentali della religione e di porsi come punto di riferimento per recuperare quanto, nei secoli, di cristiano i turchi hanno conquistato. Nessun’altra città, scrive il Gigli, ha sacrificato, nel tempo, “tanto sangue patrizio alla difesa della Cristianità sotto le bandiere di Malta” quanto Siena.

Nel periodo in cui scrive la “Lettera”, del resto, Gigli lavora alla “Brandaneide”, un poema nel quale Brandano, redivivo (nel quale è facile intravedere l’impersonificazione del Gigli stesso), profetizza una serie di imprese “crociate”, ed è proprio in questo contesto che l’eclettico scrittore senese intreccia le speranze che lo Zondadari sia il simbolo della riconquista della parte di Cristianità ormai da secoli islamizzata.

Ancora nel 1720, Gigli traduce una commedia francese e la riadatta (è il “Joseph” di Charles-Claude Genest) che diventa il “Giuseppe” dedicata proprio a Marco Antonio, a nome dell’intera Accademia dei Rozzi, nella quale emerge il parallelismo fra il biblico Giuseppe, salvatore dalla fame, e lo Zondadari, novello Giuseppe salvatore della Cristianità. Il lavoro resta un abbozzo, perché da lì a due anni Girolamo Gigli, già anziano, muore, ma lascia, in questi suoi ultimi lavori, la testimonianza delle speranze occidentaliste che la Cristianità del primo XVIII secolo aveva risposto in questo aristocratico senese, destinatario di un corpus di composizioni antiturche, cominciato all’indomani dell’assedio di Vienna del 1683 e che con la sua elezione si conclude.

Anche Marco Antonio Zondadari muore, come Gigli, nel 1722 e muore a Malta. Nel testamento dispone che il corpo sia sepolto a La Valletta ma che il suo cuore venga riportato a Siena. Così, il giorno di Natale del 1726 viene inaugurato nella nostra Cattedrale il sepolcro dedicato all’illustre concittadino. Nell’urna, scrive Giovanni Antonio Pecci, “è stato riposto il di lui cuore, da Malta a Siena trasportato, come nell’iscrizione si legge, la statua è stata scolpita da Giuseppe Mazzuoli scultore sanese, sebbene (…) rifinita da Bartolomeo di lui nipote, a spese del Vescovo di Malta monsignor Gasparo Gori Mancini di questa città”. Dunque, la prossima volta che entrate in Duomo andate a cercarlo e soffermatevi, un attimo, per un saluto. Marco Antonio Zondadari merita questo e altro.