Albert Bruce Sabin, i cui vero nome è Abram Saperstein, nasce nel ghetto ebraico di Białystok (oggi Polonia, al tempo Impero Russo) il 26 agosto 1906.
Naturalizzato negli Stati Uniti (dove la famiglia si trasferisce, ed è qui che cambia totalmente nome, quando il clima politico si fa difficile per famiglie ebree come la sua), medico, virologo, è conosciuto in tutto il mondo per aver sviluppato il più diffuso vaccino contro la poliomielite che dava ai bambini in una zolletta di zucchero. Una cosa dolce che ha salvato milioni di vite.
Per darvi alcune cifre, in questi mesi in cui di cifre di diffusione di virus siamo sommersi ogni giorno: la poliomielite (malattia della quale esistono diverse forme) è stata registrata per la prima volta in forma epidemica nell’Europa di inizio Ottocento e poco dopo si è diffusa negli Stati Uniti. La polio (come da tutti, per abbreviazione, è conosciuta) ha raggiunto un picco negli Stati Uniti nel 1952 con oltre 21.000 casi registrati, mentre in Italia, nel 1958, ne furono notificati più di 8.000. L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre nel nostro paese al 1982.
Sabin si laurea in medicina nel 1931 e a metà degli anni Quaranta è al vertice della ricerca pediatrica, un campo nel quale comincia cimentarsi proprio con la polio.
A metà degli anni Cinquanta ha elaborato un vaccino orale contro questa malattia, ma il ritrovato non ha l’approvazione delle autorità sanitarie statunitensi. Sarà per le sue origini ebraiche, per il clima politico, più probabilmente, per gli interessi delle case farmaceutiche, fatto è che si preferì utilizzare il vaccino messo a punto da Jonas Salk negli stessi anni.
Al vaccino di Sabin, invece, guardano con attenzione l’Europa e anche vari Paesi dell’Est.
Che c’entra tutto ciò con Siena? C’entra tantissimo.
Nel settembre del 1959, Sabin, che sta scegliendo un laboratorio nel quale produrre il suo vaccino, visita la Sclavo di Siena. E’ questo l’inizio di una collaborazione che diverrà fondamentale nella lotta contro la poliomielite.
Sabin invia, così, gratuitamente all’Istituto senese 50 ml. di ciascuno dei suoi 3 ceppi originali di vaccino, per consentire, il prima possibile, la produzione in Italia.
Per il vaccino antipoliomielitico viene costruito un apposito reparto con unità strettamente isolate, sia per la produzione dei virus, sia per la sicurezza richiesta in tutti i delicati passaggi dalla produzione ai controlli.
Per volere di Sabin, attorno all’istituto si sviluppa anche la comunicazione pubblica sul vaccino: i principali corrispondenti di giornali, televisioni e radio nazionali e internazionali vengono a Siena, ormai luogo di eccellenza e avanguardia anche per la conoscenza del vaccino e dei suoi esiti, e luogo privilegiato di dibattiti e conferenze mediche sul tema.
Il vero salto di qualità arriva con l’inizio degli anni Sessanta del Novecento quando l’Istituto Sieroterapico si trasforma in società per azioni ed inizia a produrre il vaccino su larga scala esportandolo anche all’estero. Così, nel 1967, l’Istituto avvia una serie di accordi con la Wellcome Foundation Limited di Londra che prevede, come si legge nei verbali del Consiglio di Amministrazione Sclavo dell’epoca, “la più ampia collaborazione sul piano tecnico-scientifico e commerciale mediante opportuni scambi delle rispettive conoscenze”.
Erano gli anni di una piccola grande (o, se preferite, grande piccola) Siena, piena di ambizioni e in grado di esprimere una classe dirigente intellettuale (nel senso pieno e più alto: umanistico, scientifico e imprenditoriale) che sapeva ancora coniugare conoscenza, saper fare e amore per la conoscenza e il saper fare.
Va sottolineato, per capire l’uomo che era Sabin, che egli non brevettò mai la sua invenzione, volutamente per cercare di mantenere il prezzo del farmaco alla portata del maggior numero di persone possibili. Disse lui stesso: “ Tanti insistevano perché brevettassi il vaccino ma non ho voluto. E’ il mio regalo a tutti i bambini del mondo”. Da questa straordinaria invenzione Albert Sabin non diventò ricco, anzi non guadagnò assolutamente niente continuando a vivere con il suo stipendio di docente universitario. Un raro esempio di unione tra genio scientifico ed etica che rende la sua figura unica.
Muore all'ospedale della Georgetown University di Washington il 3 marzo 1993.
Sabin, tuttavia, non si lega a Siena solo per motivi lavorativi.
Si innamora della nostra città e Siena, come sempre accade a chi le apre le braccia, ricambia.
Nel 1968 ottiene il Mangia d’Oro, la massima onorificenza cittadina, mentre nel 1970 gli viene conferita la cittadinanza onoraria. Ma se senti Siena “tua” la senti anche nel suo essere più viscerale. Ecco che Sabin diviene Contradaiolo dell’Oca, portato, la prima volta, dall’allora Capitano Antonio Cinotti. Nell’Oca si racconta ancora che la sera della cena della Vittoria del 1968 si avvicinò allo scienziato un contradaiolo che gli disse “o storno (aveva i capelli bianchi, n.d.r.) o canti o sgombri”. Lui, senza fare una piega, intonò “Paperone, Paperone…”
E recentemente, nel 2016, al ricordo di Albert Sabin è stata intitolata, su richiesta del Consiglio d’Istituto, anche la scuola secondaria dell’Istituto comprensivo Tozzi.