C’era una volta un re? No. Una principessa? Nemmeno.
C’era una volta un eremita, Giovanni, al quale nel 1189 due abitanti di Montepescini, Guazzolino e Aldibrandino Capolungo, donano ogni loro avere per costruire, nel luogo in cui si era ritirato, Montespecchio, tutto ciò che possedevano per costruire una chiesa e un converto. I due fratelli vollero che questa chiesa fosse edificata e dedicata in onore della Madonna di Rocamadour e così fu, tanto che la chiesa adiacente all’eremo si chiama proprio Santa Maria di Rocamadour.
Certo la dedicazione è strana per un edificio religioso nato in mezzo ad un fitto bosco (siamo nel Comune di Murlo), anche perché tale figura (l’icona, particolare, rappresenta una Vergine nera con Gesù sulle ginocchia) è venerata nella Francia del sud. Certo, pur non essendo specificato nell’atto di donazione, né in altri documenti, la vicinanza alla via Francigena (uno dei rami più importanti di essa) ha portato vari studiosi ad ipotizzare che uno dei donatori avesse fatto un pellegrinaggio in quell’area della Francia ed avesse voluto promuovere il culto di questa Madonna nelle sue zone.
Giovanni, rispettando la volontà dei donatori costruisce, così l’eremo di Santa Maria a Rocamadour a Montespecchio. Una chiesa che sembra una cattedrale dispersa nel verdevirgola ma non una semplice cattedrale, bensì il duomo di Siena, con le sue pareti a strisce bianche e verde scuro (di serpentina, non a caso), così scuro che sembra nero. Un’ulteriore, affascinante, ipotesi è che le fortune dell’eremo siano legate proprio alla costruzione del duomo stesso (consacrato nel 1179, quindi solo dieci anni prima), dato che il marmo verde, la serpentinite, che lo caratterizza proviene proprio da queste zone e che in questo commercio di materia prima preziosa abbiano preso parte anche i frati del convento. Grazie a ulteriori donazioni, nel 1228 sappiamo che esisteva già, oltre alla chiesa, anche il convento annesso che era imponente: a tre piani, con un tinaio, una cantina, una dispensa per vino e olio, una stanza per le legna, un refettorio, una dispensa per il pane e una stanza per i panni. C’era poi un magazzino per i legumi, erano presenti i dormitori e magazzini per le legna. All’esterno, per protezione dell’orto, del pollaio e degli animali c’era un muro di cinta di cui ancora si vedono i resti. I frati dell’eremo di Montespecchio, aderenti all’Ordine Agostiniano, nel ‘400 risultano legati, da un punto di vista religioso, ma anche economico ed amministrativo, ad un altro eremo: Lecceto, che, pur essendo nella Montagnola, raccoglieva a sé tutti i conventi afferenti a questo ordine.
Null’altro sappiamo dei personaggi che hanno dato inizio a questa storia.
Montespecchi, patendo ormai gravi problemi strutturali, nel 1687 viene abbandonato tanto che il Vicario di Asciano, a metà Settecento scrive: “credo che fosse più tosto per esser stanchi di più abitare in un luogo solitario ed orrido”.
I frati da Montespecchi si trasferiscono a Crevole dove rimangono fino al 1782, anno in cui il granduca di Toscana, Pietro Leopoldo ordina la soppressione di ogni ordine religioso. Una nota però non possiamo non evidenziarla anche perché attesta l’importanza di ciò di cui stiamo parlando: L’eremo ha custodito molti anni la celebre “Madonna di Crevole” dipinta a tempera e oro su tavola da Duccio di Buoninsegna e databile tra il 1283 – 1284 circa. L’opera, preziosissima, oggi è conservata nel Museo dell’Opera Metropolitana del Duomo di Siena.
Vale la pena di vedere sia il dipinto (così è l’occasione per rivedere tutto il museo dell’Opera Metropolitana), sia fare (appena possibile) un’escursione per restare senza fiato davanti ad un eremo, bianco e “nero” che vive, attraverso i secoli, in un bosco di Murlo grazie ad un eremita e due benefattori.