Intorno alla metà del XIII° secolo, il Comune di Siena decise di allargare la propria cinta muraria in modo da inglobare alcuni quartieri che si erano fortemente popolati ed in particolare quelli a sud della città che oggi sono ricompresi nelle contrade di Valdimontone e Nicchio.
Ci occuperemo in questo piccolo saggio del tratto che fu costruito nella zona vicina all’ex manicomio (San Niccolò) e che inevitabilmente andò ad intersecarsi con la strada francigena dando origine ad una nuova porta: Porta dell’Oliviera.
Come gli appassionati sanno, non si trattò dell’ultimo perimetro di mura di Siena perché meno di un secolo dopo ne venne costruito un altro ancora più esterno, quello attualmente visibile con la splendida architettura di Porta Romana (quest’ultima iniziata negli anni 1326-1327 ad opera dei maestri Giovanni d’Agostino e Agnolo di Ventura). Via via che la città si ingrandiva le vecchie mura e le vecchie porte perdevano d’importanza tanto che, col passare dei secoli, alcune di esse finivano per scomparire del tutto, inglobate dalle abitazioni o comunque stravolte da nuove architetture, ed oggi difficilmente localizzabili. Non è il caso di Porta Oliviera, le cui tracce rimasero evidenti fino allo scorso secolo tanto che alcune vecchie foto ne ritraggono ancora i resti nei primi del 900 (vedi foto) e almeno due mappe precedenti la collocano in modo inequivocabile (la più precisa è senza dubbio quella del Vanni “a volo d’uccello” di fine 1500).
In sostanza, la Porta della quale parliamo, si trovava compresa tra il Monastero di Santa Maria degli Angeli, poi detto “il Santuccio” ed il palazzo di fronte, un tempo appartenuto alla precettoria dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Ai giorni nostri un’epigrafe a lato della chiesa testimonia esattamente il luogo dove passavano le possenti mura senesi.
Questa nuova porta, fu detta anche “di San Martino” poiché costituiva l’accesso principale all’omonimo Terzo.
Prima di cominciare i lavori il Comune di Siena iniziò le operazioni di esproprio di terre e vigne nell’area interessata, come testimoniato da un documento del maggio 1235 nel quale furono indennizzati alcuni proprietari terrieri del luogo.
Il tratto di mura che da Porta Oliviera doveva andare in direzione Porta San Viene e quello che dal lato opposto doveva ricongiungersi a Porta Tufi furono iniziati diversi anni dopo. Solo nel 1247 infatti il Comune di Siena commissionò un apposito studio, la cui relazione venne esposta il 31 gennaio del suddetto anno e della quale rimane una descrizione del tratto che doveva costruirsi dal castello di Montone fino a Porta Tufi, porta le cui fondamenta erano già state gettate.
Deputati a tale studio furono Mariscotto di Guido, Niccola di Chimente, Bonfiglio di Maconcino, Iacomo di Ranuccio, Ildibrandino di Rubba, Gregorio di Gianni, Niccola di Bartolomeo, Crescenzio di Aringerio, Enrico di Ranuccio, e Ildibrandino di Falco, eletti e chiamati a tempo del Potestà Gerardo Lupi, “pro designatione fienda de portis et fossis novis ubi facte vel designate non sunt ex parte Civitate Veteris”.
La descrizione fu dettagliatissima ed indicava il terreno attraverso il quale mura e fosse dovevan passare ed i relativi proprietari fino a toccare “il luogo dove già s’eran cominciate le fondamenta della porta ai Tufi presso la casa dei figlioli di Dainello Forasiepi”.
Nell’agosto del 1248 furono espropriati altri numerosi terreni nell’area intorno al San Niccolò, che coinvolsero tutti i proprietari della zona tra cui Uguccio, Mezzolombardo e Ranuccio figli del fu Mezzolombardo, i Petroni, i cavalieri gerosolomitani che lì avevano la propria domus ed il loro ospedale ecc..
Dieci anni dopo, nel 1257, le mura che andavano verso Porta Tufi erano definitivamente concluse “sotto gli operai Caterino Marescotti, Aldobrandino Aldobrandini e Accarigi di Giovanni, secondo un progetto già studiato e approvato dieci anni avanti”
La conferma degli stessi fatti anche nella Cronaca del Bisdomini che ci aggiunge qualcosa in più e cioè che, sempre nel 1257, si era terminato di costruire anche l’altro tratto, quello che dalla Porta di S. Martino (Porta Oliviera) andava fino a quella di San Viene, porta più antica ed in posizione più interna rispetto all’attuale Porta Pispini:
“Si fero gli operai sopra le mura e furno el primo Caterino Marescotti, el secondo Aldobrandino Aldobrandini el terzo Accarisio di Giovanni; e li fu consegnato cinquantamila fiorini all’entrata de’ Contratti. E fu in un anno cominciato el muro del Laterino a pie’ del borgo di S. Marco e, seguendo a’ Tufi alla porta della via vecchia Romana, dirigendosi alla via della Porta nuova chiamata di S. Martino e seguitando in sino a pie’ del borgo di Santoviene”.
Con il completamento di questa penultima cerchia di mura, fece seguito una lenta ma inevitabile perdita di importanza delle vecchie porte di accesso alla città che non esercitavano più la loro forte prerogativa difensiva così come il castello di Montone che si ritrovò completamente all’interno della città mentre in precedenza ne costituiva parte del perimetro.
L’erudito senese Teofilo Gallaccini, descrisse nella sua “Informazione delle antichità di Siena” l’evolversi dei circuiti murari senesi in senso cronologico. Secondo i suoi studi, ci furono almeno otto fasi prima che si arrivasse all’attuale e definitiva cinta muraria, ancora oggi visibile nella sua quasi integrale interezza (raggiunta solo nel XVI° secolo) e quello del quale ci stiamo occupando era il sesto:
“Il Sesto cominciava dal monte, in cui è stata fabbricata la Chiesa, e il Convento de’ Frati di Santa Maria de’ Servi; dove già era la Chiesa di San Clemente, e il Palazzo di Montone Piccolomini….onde poi è derivato il nome di tutta quella parte, che si dice Valdimontone; imperciochè vi si vedono al presente le reliquie delle sue mura sotto l’orto de’ Frati fabbricate alla saracinesca: …e venendo sotto la Chiesa di San Leonardo, Commenda de’ Cavalieri di Malta, qui vi formava la Porta col suo Rivellino, della quale ancor oggi si vedono i vestigj; quindi voltando verso la città, fin che faceva angolo, dava luogo ad un’altra porta, la quale fu posta in uso rifatta la strada romana, e murata la prima: e di qui attraversava il Convento delle Monache di santa Maria degli Angeli detto il Santuccio, e terminava il borgo, formando come anticamente si soleva dire la bicocca….
La Porta di S. Martino divenne il varco più a sud di Siena, quello sul principale asse viario (la Francigena), ma essa fu anche conosciuta come Porta Nuova, dell’Oliviera ed anche Praelorum.
Uno dei più grandi studi sulle mura e sulle porte di Siena fu fatto dagli inizi del Novecento dall’erudito Vittorio Lusini che volle riportarne le conclusioni nel Bullettino Senese di Storia patria (1921).
L’importanza della sua ricerca, dal titolo “Note storiche sulla topografia di Siena nel secolo XIII” fu tale che ancora oggi rimane una delle basi più solide dalla quale partire per tutti gli studi di approfondimento su tale argomento.
Raccogliendo tutta la documentazione possibile dagli archivi senesi, in particolar modo studiando le varie Rubriche dei “Constituti” che si succedettero tra il Duecento e il Trecento, egli riuscì ad elaborare un elenco di tutte le varie porte della città con estrema precisione, almeno per quanto riguarda il periodo 1296-1321.
Nell’elenco del 1296 sono elencate vicino a Porta Oliviera, altre due Porte: Porta Castel Montone (detta anche S. Maurizio di fuori o di Santa Maria o porta Nuova) e Porta Val di Montone.
In quello del 1310: Porta Oliviera, Porta di Montone (o Nuova, o di S. Maria) e Porta Val di Montone (con sportello di Messer Simone). In quello del 1321 stessa cosa: Porta Oliviera, Porta S. Maria (o di Castel Montone o Nuova) e Porta di Val di Montone.
Stessa situazione anche nel 1355 secondo l’elenco del prete Sigismondo Tizio che ci ragguaglia anche sulle compagnie militari (Societatis) preposte alla guardia degli accessi:
[“…Societatis Salicotti superioris ad Portam Vallis Montonis. Societatis S. Georgii & Sancti Mauritii ad Porta Perusinorum S. Mauritii…] [….Societatis S. Mauritii exterioriis & Castelli Montonis a Portam Praelorum, hoc est Oliveriae & Perusinorum exterius…]”.
L’elenco del 1355 chiarisce anche, e stavolta definitivamente, un dubbio che da sempre ha diviso gli storici senesi: quello del toponimo “Oliviera”.
Per alcuni esso deriverebbe dalla famiglia degli “Olivieri”, attestata a metà del Duecento proprio nel Terzo di San Martino (anche se nei pressi del Mercato di Sotto). Secondo i sostenitori di questa tesi, alla stessa famiglia sarebbe riconducibile anche l’altro toponimo, quello di “Via dell’Oliviera”, strada perpendicolare a Via Roma ed ancora esistente nella zona dell’Antica Porta San Maurizio (oggi detta Ponte di Romana), a trecento metri dalla vecchia Porta Oliviera.
Secondo altri invece, il toponimo deriverebbe da un grande frantoio, un’oliviera appunto, ubicata nei pressi dell’antica porta, nella strada che scendeva verso la Certosa di Maggiano. L’accurato studio del Lusini di cui sopra, pubblicato nel 1921, lascia aperte entrambe le ipotesi:
“Gli Olivieri, da cui dev’essersi nominata la Porta dell’Oliviera, ebbero palazzo accapo il borgo sino alla strada verso la porta stessa, una parte della quale ritiene ancora il nome di via dell’Oliviera. Potrebbe anch’essere che invece famiglia e porta (che trovasi anche nominata porta all’Oliviera) avesse preso nome da un’antica oliviera”.
Ma a “ben leggere” quanto scritto dal Tizio all’anno 1355 non vi sarebbe alcun dubbio. Uno dei toponimi con cui indica questa porta infatti è “Praelorum”, che dal latino “Praelum” significa “torchio per spremere uva o olive”.
D’altronde è bene ricordare che tutte le principali porte della città di Siena non ebbero mai nei secoli il nome di una singola famiglia, escluso quelle private (piccoli accessi dati con benestare del Comune) dette appunto “porticciole”: Porticciola di messer Salomome (detta poi Damiani), porticciola di messer Guerra ecc…