Era il 9 aprile dell’anno del Signore 1431 quando il prete di San Pietro ad Ovile di Siena, tale Ser Mariano di Nanni, partì per la terza volta per un pellegrinaggio in Terra Santa.
Ad accompagnarlo in questa nuova avventura altri due parroci: Guasparre di Bartolomeo, prete al Duomo e il reverendo Pietro di Niccolò pievano di San Giovanni.
Mariano, che era a quel tempo sia Rettore della Chiesa di San Pietro a “Uvile” che della Cappella del Crocifisso all’interno del Duomo cittadino, sapeva bene che l’impresa era piena di insidie e pericoli, ma era entusiasta.
Per nostra fortuna egli redasse un bel diario di questo viaggio che è giunto fino a noi e costituisce oggi una fonte inesauribile di notizie, non solo geografiche, ma anche sugli usi e costumi di quegli anni, testimoniando pure quanto fosse arduo e difficile viaggiare in quell’epoca.
C’erano da percorrere enormi distanze ed occorrevano mesi, senza trascurare la possibilità di intoppi e ritardi oggi impensabili, dovuti alle condizioni meteorologiche, alle malattie, ai fiumi in piena e ad ogni altro ostacolo.
E il primo ostacolo gli si presentò davanti appena qualche ora dalla partenza allorché, nei pressi di “Buon Convento”, a causa del fiume in piena, non riuscirono ad attraversarlo. Siccome Mariano ebbe anche un disturbo di stomaco, pensò quasi di tornare indietro, ma le cose migliorarono e il giorno successivo, dopo aver assoldato (sempre a Buonconvento) un giovane servo con il compito di accompagnarli fino a Perugia, ripartirono ed arrivarono a Sarteano: “A dì 10 fummo a Sarteano con molta acqua e con molto vento. Eravamo molli per infino alla camicia. Io stetti malissimo. Da Siena sono Diciotto Miglia”
Il giorno 11 aprile arrivarono alla volta di Chiusi e la sera a buon’ora raggiunsero Perugia. Si fermarono per un giorno e poi con tre nuovi cavalli partirono per Gubbio (“Agobio”). Il 14 aprile giunsero ad Urbino (“Orbino”) dove trovarono il concittadino Giovanni Saracini che li accompagnò a cena dal conte di Urbino con grandi onori.
Il giorno 15, verso l’ora di cena i tre preti erano già arrivati a Rimini. Dormirono ed il giorno successivo presero “una buona barca” con la quale raggiunsero Ravenna. Qui Mariano ebbe ancora un disturbo di stomaco. Frequenti, tra le annotazioni riportate in questo diario, i malesseri di stomaco occorsi ora a l’uno, ora a l’altro parroco della compagnia. Probabilmente le condizioni igieniche del cibo, l’acqua bevuta in posti diversi lungo il cammino, avevano nuociuto in qualche modo ai nostri pellegrini.
Nonostante tutto però Mariano ci racconta che il giorno 17 aprile “in su levare del Sole partìmo del Porto di Ravenna, et alle vintitrè ore fumo a Venegia (Venezia). Io in questo dì stetti pessimamente, e se’l padrone della barca ci avesse voluto porre a Chiogia (Chioggia), sarei tornato a drieto”.
A Venezia la nostra compagnia, dopo essersi riposata in un Albergo chiamato “Lo Storione”, incontrò i figli di Giacomo di Tommaso di Cecco da Siena che gli dissero che c’erano due grosse Galee (imbarcazioni) pronte per fare il viaggio a Gerusalemme, una delle quali nuova di zecca ed il proprietario era in nobil uomo veneziano Aluigi Vallaresi. L’accordo fu ben presto stipulato sia per l’andata che per il ritorno: “di subbito ci accordammo collui, demogli trenta ducati d’oro per uno, e doverci levare, e porre da Venegia a Ierusalem, e da Ierusalem a Venegia…”.
Una volta firmato il contratto gli venne fatto vedere il loro posto a bordo e, nei sei giorni che dovettero aspettare la partenza, si adoperarono per i rifornimenti ed il necessario per il viaggio. I preti senesi si procurarono delle brandine per dormire (tre “matarazini largi uno braccio l’uno e longi tre braccia”) e delle vivande: uno “pane di sucaro”, “Gengiovo condito et altre speziarie e di buona malvagia la megliore che fusse in Venegia“. In quei giorni ebbero anche il tempo di essere ricevuti da alcuni senesi che erano a Venezia, come i Tomasini e Niccolò di Ser Gregorio.
Finalmente il giorno 25 Aprile (tra l’altro era la festa di San Marco), la Galea spiegò le vele e fece partenza con grandi festeggiamenti ed un clima euforico da parte dei passeggeri. Come ci narra ser Mariano infatti, tutti cantavano e giubilavano il Te Deum Laudamus ed il Veni Creator Spiritus.
Nella Galea vi erano imbarcati 125 pellegrini (tra i quali un Vescovo d’Albania), sette Cavalieri, quaranta tra preti e frati, ma solo sei di loro (tra cui il nostro Mariano) avevano già fatto il cammino di Terra Santa. La Nave contava, tra pellegrini e marinai, circa 300 persone, o meglio, come ribadisce Mariano “homini”. “Non vi fu nessuna femina. Eravi grandi Gentiluomini, Ungari, Buemi, Tedeschi, Franciosi, Taliani assai; non vi fu nessuno Fiorentino”. Il 26 la nostra Compagnia giunse nella città di Pola, in Istria ed il 30 aprile in “Ischiavonia”, a Giara.
Ecco come ce la racconta Ser Mariano: “A dì XXX, in su la terza fumo in Ischiavoni a Giara, et è una bella città e grande, et è cittadinesca, ed è de’ Veneziani. Qui ci furon mostrati di nobili, e belli Reliquiarj, fra quali fu el corpo di Santo Simeone e Iusto, el quale ricevè nelle sue braccia el piccolino, e dolce Iesu delle mani della dolce madre Vergine Maria….”.
Il tre maggio i preti senesi raggiunsero l’isola di “Corzola”, lungo la costa Serba. Oggi l’isola viene chiamata abbastanza similmente “Korcula” ed è dalla parte della ex Jugoslavia all’altezza circa di San Benedetto del Tronto, ma ai tempi era ancora veneziana. Qui fecero rifornimento di pesce e subito ripartirono. Continuando a scendere per mare verso la Terrasanta e sempre sotto costa, la galea giunse il giorno 4 maggio a “Raugia” dove stava imperversando una pericolosa pestilenza.
Questa città, anche detta Ragusa di Dalmazia è oggi in realtà nel territorio Croato e corrisponde alla città (Patrimonio dell’Umanità-Unesco) di Dubrovnik, così bella da essere definita la “perla dell’Adriatico”. Qui giunti però, ci dice ser Mariano “nessuno de’ nostri smontò in terra per la grande morìa che v’era. Stemmo nel porto circa un’ora”. Ecco dunque un primo contatto con una città alle prese con la peste, o comunque con una malattia contagiosa che mieteva molte vittime e per la quale nessuno osò scendere a terra per evitare di ammalarsi.
La galea ripartì immediatamente ed il giorno 6 maggio arrivò nell’ Isola di Corfù in Grecia, anch’essa come Ragusa, sottomessa al dominio di Venezia.
Scrisse in proposito ser Mariano: In questa isola ci sono “molte castella, e solo una città, che si chiama Corfù. Sonci (ci sono) Greci, e Latini, e stanovi molti Giuderi (ebrei). Sono in questa città due belle, e fortissime rocche. Qui finisce il Golfo di Venezia. Sono da Venegia a qui per diritta via 750 miglia”.