L’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, di pari passo con la sua espansione, si era dato regole sempre più stringenti in materia di amministrazione dei propri beni.
Per capirne meglio l’organizzazione e l’evoluzione bisogna consultare i suoi statuti a partire da quello del 1305 e quello del 1318 che segnarono un quasi definitivo assetto di leadership e organigramma, che si ripeterà senza grandi cambiamenti anche nei secoli successivi.
Per quanto riguarda l’Ospedale, oltre al Rettore (il ruolo più apicale), vi erano tutta una serie di figure che svolgevano precisi ruoli all’interno della sede e che erano eletti da un “Capitolo”. Erano genericamente conosciuti come “Officiali” del Santa Maria della Scala.
Tra questi grande rilievo aveva il Camerlengo che di fatto controllava tutte le entrate e le uscite di denaro ed aveva una certa libertà di manovra per quanto riguarda l’alienazione dei beni. Nello Statuto del 1318, tra l’altro era esplicitamente scritto che “el detto camarlingo sia tenuto e degga guardare li beni… e tenere, quelle cose che sonno da tenere, e dare quelle cose che sonno da dare”. Al Camerlengo però era severamente vietato di dormire più di una notte fuori dalla città. Questo incarico durava in genere sei mesi o al massimo un anno.
Il camerlengo era sempre affiancato da uno “scrittore” e coadiuvato da un notaio (due notai a partire dal 1318). La gestione dei generi alimentari era appannaggio di due Castaldi di cui almeno uno doveva essere un frate e che curavano diversi cellerai tra i quali quello del pane, degli alimenti vari e la cantina.
Un altro frate si occupava del granaio dove, oltre al frumento e alla farina, erano stipati anche i legumi e i cosiddetti “biadi minori”, ma la porta aveva due serrature e lui possedeva solo una chiave. L’altra era data ad un altro frate in modo tale che al magazzino potessero accedere solo contemporaneamente. L’addetto al granaio provvedeva a rifornire giornalmente di farina il responsabile del forno che era direttamente alle dipendenze del camerlengo e che cuoceva il pane. Questo ufficiale “fornaio”, come da statuto, consegnava l’intera partita di pane solo e soltanto al camerlengo perché potesse controllarne la produzione ed annotare in appositi registri.
Ma il frate responsabile del granaio aveva anche un altro compito importantissimo: quello di pesare e mandare il grano ai mulini affinché i mugnai potessero trasformarlo in farina e riportarlo in ospedale. Nei primi del trecento questo ufficiale consegnava circa 25 moggia di grano (circa 99 quintali) ogni tre giorni. Altre figure ricoprivano gli incarichi più diversi, come il responsabile degli animali da sella e da soma di proprietà del Santa Maria che si occupava anche della compravendita delle bestie. Sotto la sua supervisione erano tutti i “fanti” o “fantini” dell’ospedale, cioè quei garzoni che direttamente accudivano e guardavano questi animali e da lui dipendevano anche le assunzioni o i licenziamenti degli stessi.
Dal 1320, in piena espansione dell’ospedale, un’altra figura si rese necessaria per tutti i lavori di manutenzione e costruzione degli immobili, quella dell’“operaio”, che altro non era che un frate che sovrintendeva a tutte le opere del Santa Maria. Egli era responsabile “di tucte l’uopere e lavorii de lo spedale e di mectare e trare maestri e manovali”.
Ma il Santa Maria della Scala non doveva gestire solo la grande casa-madre senese, bensì anche tutto ciò che possedeva fuori le mura e che ormai aveva già in parte raggruppato e organizzato in tante grandi fattorie chiamate grance.
A capo di ogni grancia c’è il granciere, figura nominata ogni anno il primo gennaio o il primo luglio, come altri ufficiali, da una commissione formata da tre frati cittadini e tre frati residenti nel contado. Tendenzialmente ad essi veniva richiesto di saper scrivere ma, quando non lo sapevano fare, gli venivano affiancati degli “scrittori”. Essi dovevano rendere ragione delle loro spese al camerlengo almeno ogni tre mesi ad esclusione del granciere di Grosseto che faceva di conto ogni sei mesi. Ai grancieri era riservato un letto nell’ospedale senese per quando si recavano in città.
Essi ricevevano dalla casa-madre anche uno stipendio, pari a quello degli altri frati, ma avevano qualche agevolazione in più. Alla fine del trecento, il Santa Maria della Scala, che aveva attraversato momenti di crisi economica dovuta a guerre, peste e carestie, sembrava aver ritrovato un’organizzazione abbastanza funzionante ed un gruppo di circa quindici amministratori esperti che gestivano le grance del contado.
A cavallo tra Trecento e Quattrocento i grancieri son in linea di massima veri e propri esperti di settore che, a seconda del caso, erano più formati nella gestione di ospizi, o di grandi grance, o di piccole grance. Ognuno era adatto o adattato a seconda della propria esperienza e peculiarità.
Il Santa Maria della Scala tendeva ad inviarli nel luogo appropriato a seconda delle esigenze e ad effettuare una rotazione (non sempre omogenea) in modo da non farli rimanere troppo a lungo nel medesimo posto. Prendendo ad esempio Andreuccio di Rozzo, sappiamo che egli fu granciere a Stigliano nel biennio 1379-1380, a San Quirico d’Orcia nel 1381, a Scrofiano (Sinalunga) dal 1382 al 1392, poi ancora a S. Quirico nel 1393, alle Serre di Rapolano nel 1394-1395, poi a S. Angelo in Colle nel 1396, di nuovo a Scrofiano nel 1397-1398 ed infine spedaliere a Rieti negli anni 1399-1401.
Essere “officiali” del grande ospedale senese comportava sicuramente degli oneri e dei doveri importanti, ma anche alcuni privilegi e vitalizi che non erano per quei tempi cosa da poco.
Se dentro la casa-madre (Ospedale Santa Maria della Scala di Siena) i controlli nei confronti di questi soggetti erano più stringenti, nel contado e nelle grance rurali era molto più difficile.
Essi infatti cadevano spesso in scorrettezze e vizi capitali. Una volta scoperti però, dall’ospedale di Siena fioccavano provvedimenti disciplinari più o meno pesanti. Se i grancieri erano sospettati di frode venivano immediatamente espulsi oppure, per errori amministrativi di un certo rilievo, venivano destituiti e destinati ad altri ruoli.
Nel 1379 ad esempio venne espulso tal Salvestro di Cionino, granciere a San Quirico d’Orcia, per “molti e molti difetti in grave danno e vergogna dello Spedale”. Sempre nel 1379 il camerlengo non approvava i conti di Fortunato di Petruccio e Giovanni di Giovanni perché le spese del mangiare e del bere erano ritenute esagerate.
Nel 1381 da Siena partì una lettera a tre frati della grancia di San Quirico che li ammoniva severamente per “la loro mala vita”, minacciandoli seriamente se non si fossero ravveduti.
Nel 1385 venivano sollevati dall’incarico i grancieri di Firenze e di Stigliano: il primo perché a Firenze “poco si contentano” ed il secondo perché “poco atto et assai difettuoso”.
Ma le sanzioni più severe erano riservate a coloro che si macchiavano di colpe morali danneggiando l’immagine dell’ente nei confronti della popolazione. Ne fu un esempio Frate Fortunato Petrucci che venne cacciato nel 1381 perché ebbe un figlio “in grande vituperio della casa”.
Nel 1384 anche frate Jacomo di Mino Neri fu accusato di “vita dissoluta e modi non buoni” tenuti ai Bagni di Macereto e a Stigliano in “danno e vergogna de lo spedale”. Gli fu chiesto di rettificare i suoi comportamenti, ma evidentemente il frate continuò nei suoi errori tanto che per punizione fu mandato un anno nella grancia di Montepescali.
Essere inviati in Maremma, dove l’ospedale aveva diverse grance (tra cui quella di Grosseto), era in quei tempi una enorme punizione. La Maremma infatti, oltre ad essere fisicamente distante dalla città, aveva la fama di luogo assai pericoloso e primitivo, ma soprattutto insalubre.
(Nella foto: Prospetto della Grancia di Castelluccio del S. Maria della Scala di Siena)