Domenico di Bartolo di Ghezzo nacque ad Asciano (SI) nei primi anni del XV Secolo, probabilmente tra il 1400 ed il 1404, ma la sua esatta data di nascita è tuttora sconosciuta in quanto i libri contenenti gli atti di nascita della sua chiesa battesimale (Sant’Agata), sono scomparsi.
Il luogo di provenienza invece non è assolutamente da mettere in dubbio in quanto numerose pergamene lo indicano come “ascianese” (anni 1428, 1435, 1437, 1439, 1440, 1447) ed anche suo padre, Bartolo, è attestato in Asciano nel 1404.
La sua carriera cominciò all’interno dei cantieri del Duomo, come “garzone” intorno agli anni venti di quel secolo per poi essere iscritto nel 1428 al registro dell’arte dei “dipintori” di Siena.
La sua carriera artistica cominciò dunque all’interno del duomo, anche se i suoi primi capolavori conosciuti (risalenti agli anni 1430-1433), vennero eseguiti per altre committenze. Si tratta delle opere chiamate ai giorni nostri: Madonna di Washington, Madonna dell’Umiltà e Madonna dell’Assunzione.
Nel Duomo invece, dove lavorò da giovanissimo, tornò ad operare nel 1434. Suo è infatti il disegno di Sigismondo Imperatore la cui tarsia fu collocata nel pavimento della Cattedrale senese. Sempre nel Duomo di Siena, e precisamente nella Sagrestia, eseguì poco dopo il ciclo di affreschi dei Santi Patroni, sotto la sovrintendenza del suo amico Jacopo della Quercia. Purtroppo questi quattro affreschi sono andati perduti e ne rimane solo uno non del tutto completo.
Del 1438 è il Polittico di Santa Giuliana su fondo oro, fatto per un convento perugino e attualmente proprietà della Galleria Nazionale dell’Umbria.
Tralasciando alcune opere come la “Madonna di Asciano”, attestata in un contratto del 1437 stipulato tra Domenico e i frati del Convento di S. Agostino di quella cittadina, ma scomparsa e altre due madonne che sono oggi negli Stati uniti, il suo più grande e riconosciuto lavoro artistico fu quello che tra il 1440 e il 1444 lo vide all’opera nelle sale del “Pellegrinaio” del Santa Maria della Scala.
Sono infatti di Domenico di Bartolo sei degli otto grandi affreschi ordinati dal rettore Buzzichelli per riabbellire quelle stanze. Gli altri due sono opera di Priamo della Quercia, (fratello di Jacopo ed aiutante di Domenico) e del Vecchietta.
Nello stesso periodo dipinse anche, sempre dentro all’Ospedale grande di Siena, la “Madonna del Manto” ed altri drappi scomparsi.
Sempre in quegli anni miniò anche un libro ecclesiastico di canti e preghiere: il “Graduale di Pomarance”, che però rimase incompiuto. Questo straordinario volume ha preso il nome dalla località che oggi lo conserva (Pomarance), custodito nel locale museo diocesano.
Nel 1445 una sua opera nel Palazzo Comunale di Siena, (l’incoronazione della Vergine), fu terminata da Sano di Pietro, segno che l’artista era in precarie condizioni di salute se non addirittura morto.
La sua dipartita è però certificata dai documenti solo nel 1447 quando sua moglie Antonia Pannilini viene indicata come la vedova del pittore Domenico di Bartolo in un contratto di affitto di un podere di sua proprietà.
Questa fu in sintesi la sua vita umana e artistica da me ripercorsa recentemente in un libro dove, rispettando la cronologia documentale e delle opere, affronto anche altri aspetti meno noti della sua vita privata, delle sue parentele vere e presunte, del contesto senese nel quale Domenico si ritrovò ad operare.
In questa opera ho voluto anche approfondire le radici del pittore ascianese alla luce di alcuni documenti inediti e che sembrano ricondurlo ad un ramo che ipotizzo essere della famiglia Borghesi.
Molti di coloro che presero a metà di quel secolo il “cognome” Ghezzi infatti discendevano proprio da questa importantissima famiglia senese, tanto da presentarsi in quel periodo con l’identica “arme” raffigurante un drago, nella iconografia cittadina e negli stemmi del Concistoro e della Biccherna.
Non manca nella mia ricerca una voluminosa dissertazione, dovutamente circostanziata, che ci fa conoscere lo spaccato cittadino nel quale Domenico di Bartolo visse e nel quale era ben inserito. Gli anni, per intenderci, nei quali la famiglia Petrucci era al centro della vita politica e culturale senese.
Accanto ai Petrucci infatti, ruotavano una serie di dotti e potenti personaggi, i quali disquisivano di lettere, di arte e di politica, fomentando un neo-ghibellinismo trasversale alla società del tempo e favorendo gli artisti più vicini al loro cerchio magico.
La recente guerra con Firenze (con il sempre fedele appoggio ai lucchesi) e le conseguenti problematiche (mai del tutto risolte) con il Papato, furono soltanto uno dei modi nel quale Siena cercò di mantenersi come seconda ed alternativa leadership in toscana, sapendo che ormai Firenze stava per prendersi il primato politico ed economico.
E così fu anche negli altri campi come quello universitario ed artistico dove rimase per molti decenni ancora competitiva grazie anche ad artisti come Domenico di Bartolo.
Per chi fosse interessato ad approfondire, il mio libro (con prefazione di Vittorio Sgarbi ed un saggio di Mario Ascheri all’interno) si intitola Domenico di Bartolo Pictore dasciano (Casa Editrice Maggioli -RN)