Nei pressi di Costalpino era, fin dal lontano 1276, un ospizio per pellegrini e viandanti che fu lasciato in eredità (nel 1292) da tale Enrico Giliotti Incontri ai frati cistercensi di San Galgano, con l’obbligo di costruirvi un oratorio adiacente e che il medesimo fosse officiato.
Tra le righe dell’atto il testatario fece mettere nero su bianco che il tutto fosse presidiato da almeno due frati e che a lui rimanesse l’usufrutto fino a che restava in vita. Il donatore proveniva da una delle famiglie senesi più blasonate, più ricche ed inserite nella politica senese. Egli aveva speso, in momenti diversi, quasi tremila lire per quei fabbricati ed il loro accrescimento.
Erano i decenni in cui i frati cistercensi di San Galgano godevano delle maggiori considerazioni a Siena, tanto che alcuni di loro vennero chiamati a ricoprire incarichi di notevole prestigio negli uffici cittadini (Biccherna) ed anche nei cantieri dell’Opera del Duomo e del Santa Maria della Scala.
Dai documenti notarili di Enrico Incontri emerge che la sua proprietà era composta da “diversi fabbricati aventi vicino un orto con alcuni olivi, separato con una siepe da una vigna in cui alberi da frutto sostengono le viti, e poi più lontano campi intervallati da boschetti”
Non sappiamo esattamente quando Enrico Incontri si spense e solo nel 1319 abbiamo la certezza dell’avvenuto subentro dei frati di San Galgano. Sappiamo pure che a quella data questi vi avevano già costruito la chiesa e un palazzo con le sembianze architettoniche di un piccolo convento, tanto che da allora, il complesso cominciò ad essere volgarmente chiamato San Galganello. La chiesa fu intitolalata a Santa Maria e fu anche detta Santa Maria a Montecchio.
Questa proprietà seguì nel tempo la sorte di tutte le altre legate alla grande abbazia di San Galgano e all’ordine Cistercense, e quindi andò incontro ad una lenta ma inesorabile decadenza che si concretizzò con l’inizio del 1600.
Nel secolo precedente però ancora vi esercitavano predominio i frati bianchi ed un loro abate (della famiglia Petrucci) si scontrò ripetutamente con un altro membro della stessa famiglia. Alla fine fu il Papa a scendere in campo in favore dell’abate, ma cinquant’anni dopo tutto il patrimonio finì in regime di Commenda.
Se è pur vero che i primi commendatari furono cardinali e prelati, (Carlo Austino Fabronj, Giovanni Francesco Commendone, Monsignor Antonio Cocco ecc..) essi non mantennero i beni in condizioni decenti ed anche San Galganello ne patì le conseguenze. A metà del Seicento tutto finì nelle mani del cardinale Giuseppe Maria dei Marchesi Ferroni di Firenze e poi dei suoi discendenti, ma le cose non migliorarono molto. Dei beni in commenda si pensò soprattutto a sfruttarne le rendite senza metter mano a quelle manutenzioni degli edifici che avrebbero permesso anche a San Galganello di arrivare ai nostri giorni in condizioni migliori.
Nonostante tutto è ancora oggi possibile ammirare la bellezza architettonica di questo luogo anche se dell’antico splendore poco ne rimane.