Stavolta vi racconterò una storia di molti secoli fa che ancora oggi rappresenta una pietra miliare della scienza, della filosofia, della conoscenza e che costituisce un mistero non ancora del tutto svelato.

La premessa è la ricerca che da tempo l’uomo ha intrapreso per capire se l’universo ha un medesimo filo conduttore, un denominatore comune e risponde a precise leggi fisiche e matematiche.

Quando ho affrontato questa tematica ho creduto erroneamente di imbattermi in argomenti prettamente compatibili con la matematica, l’algebra e la numerologia, ma mi sbagliavo. La figura di Fibonacci ed i suoi studi erano molto di più ed andavano oltre l’immaginabile.

Leonardo Fibonacci (detto anche “Bigollo”) fu uno studioso vissuto nel XIII secolo. Nacque a Pisa intorno al 1175 da Guglielmo Bonacci e Alessandra e morì nella stessa città intorno al 1235. Ebbe almeno un fratello di nome Bonaccinghus. Essendo “filius Bonacci” venne inevitabilmente chiamato Fibonacci, ma anche più comunemente Leonardo Pisano o anche “Bigollo, Bighollo, Bigholli”, soprannome dovuto ai tanti viaggi in terre straniere. Considerato uno dei più grandi matematici di tutti i tempi cominciò il suo apprendimento già in tenera età quando il padre, uno dei più grandi mercanti Pisani (fine 1100) operante in diverse nazioni “oltremare”, lo introdusse agli studi e ai saperi molto avanzati di quelle terre straniere. Prima in Cabilia (odierna Algeria), dove studiò l’aritmetica araba ed i suoi numeri che, allora, non erano ancora chiamati “arabi”, ma” indiani” o “indi”. Poi una serie di viaggi in diversi luoghi del mediterraneo (Egitto, Grecia, Siria) gli fecero conoscere tecniche mercantili, algebra, geometria, insomma una cultura totalmente diversa da quella europea e da noi ancora quasi sconosciuta. L’approdo infine a Costantinopoli e lo studio dei trattati arabi, in particolare di quelli di Muhammad ibn Musa al-KHwarizmi Abu Kamil e l’algebra dell’ ebreo spagnolo Abraham ibn ‘Ezra, lo portarono ai vertici delle conoscenze di quei tempi. Ritornato a Pisa, i suoi pareri e le sue conoscenze furono molto richieste, tanto da essere chiamato alle corti di tutti i sovrani più importanti (come l’Imperatore Federico II). 

La sua città nel 1228 gli conferì il titolo di “Discretus et sapiens magister Leonardo Bigollo” e più tardi gli conferì un vitalizio di XX libre annue per i suoi inestimabili servizi.

Intanto erano nate le prime scuole nelle quali Fibonacci insegnava quanto appreso. La sua fama era ormai universalmente riconosciuta e nel 1202 aveva pubblicato la prima edizione del Liber Abbaci, che poi rivide e corresse in una seconda edizione del 1228, scritta su richiesta dell’amico (filosofo scozzese) Michele Scoto. In questa opera introduceva le “nove cifre indiane” e, per la prima volta, il segno “Zero” che i latini chiamavano “Zephirus” e ben conoscevano, ma che ritenevano inutile. Nel nuovo libro enunciò i criteri di divisibilità, regole di calcolo dei radicali quadratici e cubici ed introdusse la barra delle frazioni, già nota al mondo arabo. Il volume comprendeva anche quesiti matematici, di aritmetica  commerciale, di ragioneria e relative soluzioni.

All’epoca il mondo occidentale usava i numeri romani applicati al sistema di numerazione greco e i calcoli si eseguivano con l’abaco. Questo nuovo sistema faticò molto ad essere accettato, tanto che nel 1280 per esempio, la città di Firenze proibì l’uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Si riteneva infatti che lo “0” apportasse confusione e venisse impiegato anche per mandare messaggi segreti e, poiché questo sistema di numerazione veniva chiamato “cifra”, da tale denominazione derivò l’espressione “messaggio cifrato”.

La prima edizione del “Liber abbaci” del 1202 è andata persa, ma la seconda edizione del 1228, si conserva ancora oggi in tre città italiane: Roma, Firenze e Siena. Il fatto che la nostra città abbia conservata (Biblioteca Comunale L.IV.20) una delle copie originali del 1228 certifica come probabilmente, fin dagli inizi, a Siena ci fu una scuola o comunque un maestro di questa nuova disciplina. Questo importantissimo manoscritto, grande e pesante misura 20,5 centimetri di larghezza per 30 di altezza e 5 di spessore e reca ancora la scritta sul dorso “LION.PISANI DE ABACO”. Privo del capitolo nr. 15 è composto di 224 fogli scritti su entrambe le facciate con inchiostro marrone, mentre le cifre sono rigorosamente in rosso.

Fino dal loro primo apparire, le “scuole d’abaco” si configurarono generalmente, accanto alle scuole di grammatica, come un livello di studi medio, che faceva seguito ad un primo ciclo scolastico elementare in cui i ragazzi imparavano a leggere e scrivere in latino e volgare. Mentre la scuola di grammatica era dedicata all’approfondimento della grammatica latina ed allo studio delle lettere, della retorica e della logica, la scuola d’abaco era riservata all’apprendimento della matematica e aveva in prevalenza lo scopo di preparare all’esercizio di attività mercantili, commerciali e artistiche. Uno dei primi a trasmettere gli insegnamenti del Pisano fu un Maestro di Abaco di Bologna, tale Pietro, che compare in un documento del 1265, ma anche suo figlio Giovanni (nel 1279).

Sempre nel 1279 compare anche il Maestro Michele pagato dal Comune di San Gimignano. Il fatto che la scuola di Leonardo Fibonacci, o almeno i suoi discepoli, fossero già trapiantati a Siena, ce lo conferma anche il nostro Ordo officiorum de Legiae senensis, redatto nel 1215, nel cui indice compaiono per la prima volta le cifre cosiddette “indoarabiche”. Successivamente famosissimo fu anche il Maestro d’Abaco Gilio di Cecco da Montepulciano, stipendiato dal Comune di Siena dal 1374 al 1375 e dal 1405 al 1407 e nei primi del Quattrocento anche Giovanni Pucci da Siena.

(fine prima parte)