Quello che resta oggi del castello di Cerreto Ciampoli è un suggestivo rudere nel comune di Castelnuovo Berardenga (SI) coperto dalla selva e dai rovi. Posizionato su una collina del Chianti che sovrasta il torrente Arbia, dista pochi chilometri sia da Pianella che da Pievasciata.

Le vestigia di questo fortilizio, in gran parte atterrate ormai da secoli, hanno dato ai pochi visitatori che si sono avventurati a piedi per andarlo a vedere da vicino, una sensazione di aver trovato un luogo magico dove il tempo si è fermato. Poche cose sono rimaste intatte di questo antico castello ed una di queste è la porta d’ingresso (arco in pietra), mentre gran parte delle mura e delle torri sono ormai cadute, ma riconoscibili sul terreno. Questo insieme di rovine spiega anche il toponimo Cerretaccio, con il quale da decenni il luogo viene chiamato.

Il primo documento che testimonia Cerreto risale all’anno 1097 quando un tale Feralmo da Cerreto si ritrovò nella casa Gherardini di Siena per testimoniare con altri nobili del contado senese ad un atto di rinunzia fatta da alcuni conti a favore del monastero della Berardenga (S. Salvatore a Fontebona). Successivamente, un contratto del 1172 conferma i rapporti tra i signori di Cerreto ed il medesimo monastero. Fu un rapporto assai stretto quello tra i castellani di Cerreto e questa antichissima abbazia e si mantenne anche nei secoli successivi, come testimoniano altri atti con il quale si facilitano o concedono passi, terreni e quant’altro garantisse un aiuto al monastero predetto che lungo l’Arbia aveva gore e mulini.

 

Successivamente, il 27 agosto 1142, un contratto fatto sotto il castello di Cerreto, ci racconta come i coniugi Albertino e Berta, insieme coi loro figli Ugolino e Cerreto venderono alle monache di Monte Cellese e alla chiesa priorale di S. Pietro di Cerreto alcuni terreni lungo l’Arbia, in un luogo detto Piano Maggiore, per costruire un mulino e la sua gora. In quegli anni sia il Monastero di Fontebona che quello di Montecellese (S. Ambrogio a Monte Celso) erano entrambi femminili e sottoposti all’ordine camaldolese, così come il vicinissimo monastero di S. Giusto a Rentennano (poi detto “alle monache”) che era direttamente dipendente da quello di Montecellese. Un rapporto, quello tra i signori di Cerreto e quest’Ordine molto intenso anche se spesso non mancarono attriti, come dimostra un documento del 1206 (12 febbraio) nel quale i fratelli Guido, Spinello e Corrado da Cerreto si rappacificarono con le monache di S. Giusto a Rentennano con le quali avevano dei mulini in comune. 

Ma i signori di Cerreto Ciampoli tennero buoni rapporti anche con un'altra badia, quella vallombrosana di S. Lorenzo a Coltibuono alla quale fecero concessioni (sempre sul piano dell’Arbia) a partire dal 1163 quando, con un atto stipulato nella chiesa di S. Stefano nel loro castello, cedettero il passo ed il terreno per costruire una steccaia e la gora di due nuovi mulini nel Piano Maggiore dell’Arbia.

Agli inizi del XII secolo abbiamo una situazione abbastanza definita del territorio di Cerreto che comprendeva, oltre alla rocca, anche il borgo sottostante. Dentro al castello c’era la chiesa suffraganea di S. Stefano a Cerreto, del quale ancora oggi è visibile la facciata, mentre nel borgo c’era la canonica di S. Pietro a Cerreto che poi diede il nome a quel nucleo abitativo che ancora oggi prende il nome di Canonica a Cerreto. Sotto al castello, un lungo tratto dell’Arbia prendeva il nome di Piano Maggiore o Pianmaggiore ed era costellato da almeno quattro mulini dei quali uno è ancora esistente con il nome di Mulino di Piermaggiore.   

Numerosi documenti ci raccontano come il castello di Cerreto ebbe fin dagli inizi del XIII secolo una vita assai travagliata, dovuta soprattutto alla sua posizione di confine tra Siena e Firenze. S. Giusto a Rentennano, della quale abbiamo parlato da poco, costituiva proprio il confine tra il contado fiorentino e quello senese, come stabilto dal trattato di pace tra i due comuni del 1204 (stipulato a Poggibonsi).

[continua NELLA SECONDA PARTE]