Fa ancora un certo tremito, e una salutare inalazione di eterno, ascoltare le vecchie cronache paliesche di Silvio Gigli, che immancabilmente concludono col celebre "Siena trionfa immortale!". A lui poteva essere concessa un'espressione del genere; non per assecondare un apparente autocompiacimento provincialista da personaggio (cosa da cui peraltro il Gigli era pressoché indenne), ma perché apparteneva ad una generazione che vedeva questo senso di immortalità proprio nel trasmettersi ininterrotto, di generazione in generazione, di un patrimonio culturale, antropologico, religioso e politico (lo so legga in senso etimologico) di cui il Palio non era altro che l'epifenomeno. Gli era concesso perché lui stesso, come tanti senesi, era anello di congiunzione di una catena che pareva porsi, nei suoi protetti e forti incastri, protesa verso l'infinito.

Oggi questa catena si è spezzata, diciamolo, perché la comunicazione fra generazioni è stata resa impossibile da un contesto semantico, e più ampiamente culturale, incapace di creare trasmissione di patrimonio culturale. Se sia questo che viviamo un dinamismo unico nella storia non è dato saperlo; certamente a memoria d'uomo, o poco più, non si è mai visto un simile divario di incomunicabilità fra generazioni. E questo disorienta, come tutte le cose che esulano dalle nostre interpretazioni.

In ambito senese e contradaiolo, le motivazioni sono note a tutti: certamente il non abitare nel rione porta a non vivere il rione, inteso nel suo tessuto relazionale che fa da trama all'esperienza culturale. C'è anche proprio una difficoltà di linguaggio, dovuta al fatto che le generazioni che si sono appena affacciate alla maggiore età sono nate già tutte nel terzo millennio, in una realtà digitalizzata ed informatizzata che ha mutato in maniera radicale le possibilità e i linguaggi comunicativi. Ma c'è un problema più profondamente culturale che rimane incolmabile, e che è la percezione stessa di ciò che è cultura e non, che in ogni società umana vale a dire: quello che è da salvare (e quindi da trasmettere) e non. Ciò che per una generazione è valore, non è detto che lo sia per l'altra.

Tutto da buttare quindi nella cloaca del nichilismo e arrendersi a questo inesorabile tramonto del nostro mondo? Non direi proprio. Anche se a velocità diverse e con dinamismi raramente gli stessi, i cambiamenti nel mondo ci sono sempre stati e sempre ci saranno, tanto che ad ogni generazione viene dato un compito che fa di ognuna un ruolo insostituibile, conseguenza di quello che è stato e necessaria preparazione a quello che sarà. Esemplificando il concetto in una metafora bucolica: c'è chi ara la terra, c'è chi la semina, c'è chi la irriga, c'è chi raccoglie il frutto e chi, ancora una volta, la rovescia per seminare di nuovo.

Siena è un valore superiore alle sue Contrade, ma come un corpo vive di cellule, così non può la Città, col suo patrimonio culturale da difendere (trasmettendolo, non nascondendolo) fare a meno delle Contrade come luoghi di formazione, come contesti vitali necessari per trasmettere un patrimonio genetico, che poi possa un giorno manifestarsi secondo la sensibilità e il genio di chi lo metterà a frutto.

La posta in gioco è delicata, è vitale: si deve pertanto avere ben presente chi e che tipo di responsabilità siamo chiamati a prenderci a livello educativo. In Contrada un ruolo che personalmente ritengo essenziale per il futuro è quello degli addetti ai piccoli e ai giovani. In un contesto più ampiamente cittadino penso al Comitato degli Amici del Palio, che porta avanti da anni, con meritoria passione, un progetto educativo nelle scuole primarie di Siena, coinvolgendo quindi anche bambini che per varie ragioni non hanno mai avuto percezione di cosa possa essere la comunità/Contrada in tutti i suoi aspetti. Ripeto: una responsabilità vitale: perché quello che in passato si trasmetteva in maniera quasi naturale nella vita del rione fra le generazioni, oggi è impedito da tutta la serie di costatazioni fin qui condotte. Veramente il futuro di Siena, non solo delle Contrade e delle tradizioni legate al Palio, è in mano a chi si assume responsabilità educative nei confronti dei giovani. Ma è chiaro cosa significhi "educare"? Una parola che ha in sé il dinamismo del "tirar fuori", condurre per mano affinché la forma possa uscire dall'informe. Educare significa formare, non solo informare. E poiché questo è uno dei limiti più evidenti che la scuola di oggi sembra soffrire, a causa della scelta deliberata di abbandonare l'ottima struttura classica del giudizio razionale, in ragione di una didattica dell'informazione tipica dei sistemi anglo-sassoni, l'educatore oggi ancor di più deve porsi in maniera empatica, perché accompagni questi nostri ragazzi a capire e apprezzare i valori che loro stessi, un domani, dovranno prendere per mano e consegnare ad altri. I giovani non ascoltano: ma perché, noi adulti li ascoltiamo? I giovani non parlano? Chiediamoci se quando ci rivolgiamo a loro lo facciamo con sincero interesse o se siamo sempre a raccontare noi stessi per quello che alla fine neanche siamo. I giovani non si appassionano. Quanto ci appassioniamo noi a quello che sentono e a quello che provano, anziché mettersi la coscienza in pace dando loro fra le mani un telefono, affidandoli ad una compagnia tutt'altro che rassicurante?

Siena non è un'isola. Le dinamiche del mondo ormai giungono prima che ci se ne renda conto anche qui, su questi tre colli che (forse sciaguratamente) hanno tentato di vivere negli ultimi decenni l'illusione della "bella addormentata", risvegliandosi (sempre forse) quando ormai già troppi treni della storia erano passati.

In Contrada, a differenza che in tanti, troppi altri contesti, c'è la possibilità di ascoltare i nostri ragazzi, di parlare loro in un dialogo costruttivo perché tutto sommato sono ancora tanti gli elementi e gli interessi che ci accomunano, se non altro la passione per il Palio, di far capire loro la differenza tra emozione (che passa) e sentimento (che rimane). Non basta insegnare loro le tecniche per un più sonoro stamburare o un più elegante volteggiare di seta e di bandiere; ci vuole la passione, ci vuole la forza dell'amore e per amore che trascina, che contamina da sangue a sangue e che fa di una persona non semplicemente un recipiente da riempire, ma la bellezza di una forma da far venir fuori.

Nessuna generazione è uguale all'altra, perché ognuna ha un compito; cambino le sensibilità, cambino i linguaggi, cambi ciò che di per sé deve necessariamente essere mutevole, ma non cambi la sostanza. Che tutto cambi, perché tutto rimanga com'è, nel buono che c'è, ovviamente. Non cambi la passione di rendere Siena più bella e sempre più eterna, facendola stare a pieno titolo nel treno della storia, che tanto ha di debito nei confronti di questa Città. Troppo piccola per essere grande, ma anche troppo grande per essere piccola.

(Foto Mauro Agnesoni)